La concezione di stato nella storia della filosofia politica

Cos'è lo Stato? Concezione di stato in filosofia politica

Perché nasce lo Stato?

Per parlare di concezione di stato e di cos’è uno stato, dobbiamo innanzitutto definire il significato della parola “Stato” nella filosofia politica.

Lo Stato (la cui parola latina status ha tra i suoi significati stabilità) è l’organizzazione di una comunità in grado di assumere le decisioni necessarie finalizzate al bene della comunità stessa.

Queste decisioni devono essere:

  • sovrane e insindacabili: in quanto devono essere accettate dalla popolazione;
  • razionali: perché devono essere le decisioni migliori possibile rispetto al loro scopo.

Leggi anche: “Introduzione alla filosofia politica“.

Lo stato nasce per occuparsi dei bisogni della comunità

Uno stato nasce, secondo Platone, da esigenze materiali, quindi la sua origine di carattere economico-sociale è fondata sulla necessità di soddisfare i bisogni naturali dell’uomo e della comunità in cui vive.

Con il crescere in termini numerici della popolazione, i bisogni degli individui, e quindi della comunità, aumentano e tendono a distaccarsi dalla iniziale naturalità. Una delle conseguenza di questi eventi è che si arriva anche ad una evoluzione della concezione di stato e della sua organizzazione.

Cosa si intende con “naturalità dei bisogni”?

Epicuro, ad esempio, classifica come “bisogni naturali e necessari”, necessità come il mangiare per sfamarsi e il bere acqua per dissetarsi ed è facile comprendere il perché siano considerati naturali e necessari. Epicuro aggiunge anche che i bisogni naturali e necessari soddisfano interamente l’essere umano poiché essendo limitati possono essere completamente colmati.

L’unico modo perché uno Stato sia giusto è che si basi sul fatto che la sua popolazione sia consapevole dell’identità tra l’interesse proprio e quello dello Stato.

Cos’è la giustizia e come è evoluto il concetto di giustizia nei secoli?

Le teorie sulla giustizia hanno origine dallo studio dei valori a cui il diritto deve tendere e dei fini sociali che gli ordinamenti giuridici devono avere.
La giustizia è l’elemento di valutazione che consente di stabilire chi abbia ragione su cosa, di dare a ciascuno ciò che gli spetta.
Nella filosofia di Platone la giustizia viene identificata nell’equilibrio e nella capacità di ogni classe presente nello stato di svolgere bene il proprio compito.
Per i filosofi greci il concetto di giustizia è legato ai concetti di necessità e rimanda ad un ragionamento universale che deve essere al di sopra delle leggi umane.
La legge è quindi una disciplina che riconduce i principi dell’ordine naturale alle attività quotidiani degli individui e dei cittadini.

Al tempo dei Romani la giustizia diventa un metodo di assegnazione a ciascun individuo di ciò che gli compete.

L’evoluzione del concetto di giustizia sarà costante nella storia e si adatterà, naturalmente, alle esigenze dei tempi e alle idee politiche e/o religiose dei popoli: per gli Ebrei e i Cristiani, ad esempio, la giustizia è l’applicazione alle cose umane dei comandamenti divini.

In tempi più moderni, si arriverà anche a formulare teorie secondo cui la giustizia non può esistere al di fuori della società civile perché solo l’organizzazione degli uomini in società e in stati può portare alla creazioni di leggi che la regolino.

“Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?”

Sant’Agostino

Può il potere essere gestito per il bene della comunità?

La domanda che ci poniamo, ora, è la seguente: possiamo immaginare che chi detiene il potere in una forma di organizzazione statale lo applichi in funzione del proprio bene o del bene di coloro che governa?

Certamente, osservando e conoscendo la natura umana, è comprensibile essere tentati di rispondere che chi governa lo applicherebbe in funzione del raggiungimento di obiettivi personali.

La domanda va, a mio parere, traslata su un piano diverso: il bene assoluto che il regnante deve perseguire è imposizione del proprio interesse o di quello di coloro a cui comanda?

Su tale questione Platone ci fornisce una argomentazione che porta a due riflessioni sulla concezione dello stato.

Platone, infatti, nel suo libro “La Repubblica”, rispondendo a Trasimaco – che afferma che in tutti gli Stati la giustizia è l’interesse del più forte – propone l’esempio del corpo umano che ha bisogno della medicina perché gli procuri ciò che gli è necessario, data la sua debolezza.

“Dunque si è sviluppata la medicina per procurare al corpo ciò che gli serve. (…) Dunque la medicina non riguarda l’interesse della medicina, bensì quello del corpo (…) Ogni arte controlla e domina l’oggetto a cui si applica… eppure fa l’interesse dell’oggetto stesso e non il proprio”.

Socrate ne “La Repubblica” di Platone

Secondo Platone, dunque, “…nessuna scienza ricerca e prescrive l’interesse del più forte, bensì quello del più debole e di chi è in posizione subordinata rispetto ad essa.

Allo stesso modo nessuna autorità deve cercare né imporre il proprio interesse ma quello di colui al quale comanda e per cui esercita la propria funzione e cioè la comunità stessa.

La prima riflessione su questo punto è che esiste, quindi, la necessità che l’individuo abbia una guida come il corpo ha necessità di usufruire dei vantaggi portati dalla medicina.

La seconda è che, nonostante la posizione di dominio della guida rispetto al guidato, l’interesse perseguito dalla guida deve essere quello del guidato stesso.

In questo senso ritorna più chiaro anche il concetto di un “Dispotismo Illuminato”, un potere assoluto dominato dai principi della ragione, che, in quanto tale, deve necessariamente perseguire l’interesse della comunità e che alcuni filosofi politici nel tempo hanno contemplato come possibilità.

La conclusione finale di questo ragionamento è la seguente ed è logica e chiarificatrice sul perché nascono forme di guida nelle comunità:

come la medicina nasce dall’esigenza del corpo di porre rimedio ai suoi limiti, la Politica (e quindi ecco la concezione di stato) nasce dall’esigenza delle comunità di essere guidate in maniera uniforme verso uno sviluppo socio-economico e la religione dalla necessità degli individui di colmare quelle lacune spirituali e di guida morale che attanagliano la loro anima.

Essendo dunque la Politica non un’imposizione dall’alto ma una creazione (proposta e risposta) delle comunità alle proprie necessità, è assolutamente inconfutabile il fatto che debba essere considerata come imposizione giusta e necessaria del bene stesso del più debole.

Il Principe di Niccolò Machiavelli: la sua concezione di stato, di governo e di politica.

Machiavelli, successivamente, elaborò la teoria secondo la quale l’agire politico non deve rispondere del suo operato di fronte alla morale o al diritto naturale, ma riconoscere come unica guida il bene dello stato; Jean Bodin, secondo cui “la monarchia pura assoluta è lo stato più sicuro e, senza confronto, il migliore di tutti” insegnò che lo stato deve esercitare sovranità assoluta (summa potestas) sul popolo.

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Parlando quindi della concezione di stato non si può evitare di dare un’occhiata, anche se fugace, sul passato della filosofia politica.

Nei prossimi articoli proporrò qualche spunto sulla filosofia di Platone per poi, successivamente, proseguire storicamente nel tempo e raccontare il pensiero e le idee di altri “pensatori politici” fino a tempi più recenti.

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